Non so se uso i termini giusti, ma quando il buffer del computer ti si satura, bisogna vuotare la cache e fare un riavvio.
Succede anche nella vita, quando magari prendi quota e sorvoli per un po’ e ti senti leggera però arriva il giorno che hai fatto il pieno e sei troppo triste perché ti manca troppa gente e ti senti le ali grippate.
Personalmente, per vuotare la cache, oggi ho pensato a questa poesia.
Chi s’aggrappa al nido
non sa che cos’è il mondo,
non sa quello che tutti gli uccelli sanno e
non sa perché voglia cantare
il creato e la sua bellezza.
Quando all’alba il raggio del sole
illumina la terra
e l’erba scintilla di perle dorate,
quando l’aurora scompare
e i merli fischiano tra le siepi,
allora capisco come è bello vivere.
Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alle bellezza
quando cammini tra la natura
per intrecciare ghirlande coi tuoi ricordi:
anche se le lacrime ti cadono lungo la strada,
vedrai che è bello vivere.
L’ha scritta un ragazzino, tanto tempo fa, e la conosco quasi a memoria. Se volete leggerne altre, le potete trovare qui.
E poi, per guarire dai ricordi, a pranzo mi sono fatta la puccia, un piatto povero monferrino che ha sfamato generazioni di contadini e che scalda la pancia e anche un po’ il cuore.
Basta prendere una pentola, tagliuzzare qualche foglia di verza e soffriggerla in poco lardo battuto, aggiungere un pugno di fagioli lessati, salvia e rosmarino, pepe e sale, coprire di quattro dita d’acqua e, quando bolle, farci una polentina morbida, che sembra quasi una minestra.
Obbligatorio mangiarla caldissima, con sopra un pezzetto di burro e una spolverata di parmigiano.
È come tornare a casa con qualcuno che, a casa, ti aspetta. Si può stare un po’ lì e, dopo, si può ripartire 🙂
soundtrack: