il rosso e il blu

matita_rossa_e_bluE così, da un paio di mesi, son tornata a scuola.

Per la precisione, come un eroe deamicisiano, alle Scuole Serali.
No, dai, sto scherzando: è solo (solo?) un corso di tre mesi (ma di tre ore per volta e quasi tutte le sere) per acchiappare il benedetto diploma, detto in modo molto pomposo Somministrazione di Alimenti e Bevande.
Cioè il benedetto diploma che mi serve per fare il lavoro che voglio fare. Finalmente.

Che dire, ci farciscono di un sacco di nozioni perlopiù sconosciute ad una velocità supersonica, il tutto corredato da un tomo di 400 (!) pagine e da un libretto di quiz stile patente per esercitarci a casa.
E noi, poveri cristi già provati da una lunga giornata, che possiamo fare?
Cercare di apprendere ma, soprattutto, cercare di non abbioccarci in maniera troppo plateale.
Ah, e di non rimanere ibernati.

Poi è dura, tornare sui banchi da vecchi. Meno male che, come tutte le classi, anche questa classe è bislacca e divertente.
Tra gli altri, ci sono le Signorine Bellicapelli, l’Oca Giuliva, Mademoiselle Coco, il Bel Tenebroso (che  ha distribuito, a chi la voleva, la ricetta del suo portentoso antipasto piemontese), la Signora delle Collane, il Pizzaiolo, la Biopedante, il Fine Dicitore. Io sarei la Bella Addormentata (appunto).

Stasera abbiam fatto la prova d’esame: sembrava di stare alle elementari, tutti a copiare di straforo e ci scappava da ridere ma in fondo, che batticuore.
Perché lo so, siamo tutti lì a lottare contro il sonno per realizzare un sogno e per poter cambiare la nostra vita. E cambiare, alla nostra età, fa un po’ paura.
Ma in fondo, che importa? Come diceva Eduardo, gli esami non finiscono mai.

E se quello (vero) di fine corso lo passo, siccome ho la fortuna di essere disoccupata e di avere un ricco voucher della Provincia a disposizione, ne approfitto bassamente e mi faccio pure il corso di cucina jap. Giuro.

soundtrack:

le chiavi di casa

chiaviUn nuovo anno incomincia e ho una cucina/soggiorno molto francese, due balconi portoghesi, un bagno greco, un’entrata cinese, un ballatoio spagnolo. Le camere da letto, per ora, non so.

Non ho ancora un lavoro definito, ma ho (per un po’) un sussidio di disoccupazione, i kids (tutti e due), l’acqua calda ogni volta che voglio, un tetto sulla testa, gli amici ritrovati, Spago che ronfa sul letto, le passeggiate in collina, il mercato del sabato, il sambal di Bombidù.

Le chiavi di casa le tengo sempre in tasca perché ho bisogno di sapere che finalmente sono a cuccia e mai più resterò chiusa fuori. Sono attaccate a un cuore con sopra scritto dream, sogno. Dentro al cuore c’è un sonaglio come quelli che stanno nelle sfere cinesi, quelle che si tengono in mano due per volta e si fanno strusciare tra loro, per rilassarsi.

Ascolto quel suono ovattato – clongclong– mentre cammino per la città, faccio la spesa, vado al bancomat o in biblioteca. E non mi sento sola.

Da quando son nata, questa è la mia decima casa. Assomiglia tantissimo ad un’altra casa, tra le dieci, molto speciale.
Era così speciale che lo Strizza l’aveva definita la mia isola di Santa Maria. Era così speciale che pensava fosse cosa buona e giusta che io la lasciassi per vivere finalmente nel mondo (cioè con lui) e non in un sogno.

Nel mondo, poi, mi sono sentita sola.
Ci ho messo dodici anni, a ritrovare la mia isola di Santa Maria. Ho fatto tanta fatica ma sono qui, ora. Lo so.

E il suono delle chiavi di casa, nella tasca del cappotto, mi ripete ad ogni passo che nessuno (ma proprio nessuno) mi porterà mai più via.

soundtrack: