kill bill vol. II

Chi, come me, conosce bene il megafilm di Quentin Tarantino sa che la prima parte è dedicata alla vendetta, la seconda all’amore (nonostante l’apparenza).

E stanotte, in maniera (apparentemente) delirante, ebbene sì, io mi sento Beatrix Kiddo, altrimenti detta The Bride (anche se nessun maschio circolante, che io sappia, ha la minima idea del modo in cui io mi senta sposa, ma vabbé, nella vita non si può avere tutto).

Perché ho appena scaricato e stampato una richiesta di buonolibrocomunale con una stampante senza inchiostro e l’ho mandata via mail justintime, e domani ne porto un’altra, di lettera, al lavoro, e chediomelamandibuona.

Perché oggi pomeriggio ho capito che le cose belle mi piacciono ancora (a patto che siano belle, altrimenti le butto via), ma quelle brutte non aggiungono niente a quello con cui di brutto ho a che fare da molto tempo a questa parte e questo mi rende, se non invincibile (che è un termine pomposo), almeno nonpiegabile.

E perché io sto qui, niente mi può fermare, a parte la malattia e la morte (occhei, con la malattia posso scendere a trattative).

A molti la spedizione online di un banale modulo per il rotto della cuffia sembrerà un cazzata ma io, Beatrix Kiddo, valorosa guerriera, ne sono oltremodo orgogliosa.

Ché, da oggi pomeriggio, udite udite, la sfiga (anche se esiste) mi fa un baffo.
(e se questa è una sfida, beh, chissenefotte)

p.s.
a quelli che considerano piuttosto farneticante il suddetto post, consiglio una visione (approfondita) di kill bill vol I e II (soprattutto la sequenza della sepoltura) 🙂

soundtrack:

bella, bionda… e dice sempre sì

Il pub è chiuso, di lunedì sera, e così l’Alga e G. se ne stanno seduti su un muretto troppo basso per le articolazioni incriccate di lei, con nel mezzo una bottiglia di Menabrea raccattata in pizzeria due minuti prima della serrata, parlando delle loro vite colabrodo.

Passa un branco di adolescenti troppo rumorosi, le zanzare si accaniscono.

Come va il lavoro, cosa fai a Natale, tra nove giorni è il tuo compleanno.

Eh, Natale
Eh, il mio compleanno

Eh…

Tornando, sul sentiero verso casa, l’Alga incontra i ranocchi.
Ce n’è un sacco, da queste parti, e sono minuscoli.
Quando appoggi un piede sull’erba di notte, schizzano a ventaglio e spariscono sotto le siepi.

L’Alga, come al solito, non sa se andare o restare, quindi se ne sta sempre piuttosto vaga, e nella sua vaghezza, mentre torna a casa, pensa a quella poesia che fa

To make a prairie it takes a clover and one bee,
One clover, and a bee.
And revery.
The revery alone will do,
If bees are few
.

Beh, qui per ora ci sono solo ranocchi.

Ma, in fondo, non sono male.

soundtrack:

re per una notte

Beh, piacerebbe a chiunque.

Quest’estate, a Ruta, mi sguardicchiavo questo questionario e pensavo che lo leggo da tanti anni e che sarebbe carino che una volta nella vita qualcuno me lo sottoponesse (ahahahaah, che strano modo di esprimersi).

Ma visto che nessuno me lo sottoporrà mai, dato che non sono nessuno a cui valga la pena di sottoporlo (e ridanghete), me lo sottopongo da me 🙂

Il tratto principale del suo carattere?
La tenacia.

La qualità che preferisce in un uomo?
La sensibilità, la lealtà, la coerenza, il coraggio (e la bravura ad usare il trapano).

E in una donna?

La lealtà, l’accoglienza, il coraggio.

Il suo principale difetto?

Il drammatizzare un po’ troppo. 😉

Il suo sogno di felicità?
Che il puzzle della mia vita vada finalmente a posto.

Il suo rimpianto?

Aver preso la vita a testa bassa, senza capire certe cose.

L’ultima volta che ha pianto?

L’altro ieri, pensando alla mia nonna.

L’incontro che le ha cambiato la vita?

Con la blogosfera (tra le altre cose cose, ci ho trovato un lavoro).

Sogno ricorrente?
Perdo il treno.

Il giorno più felice della sua vita?

Quando sono nati i miei figli (e poi una notte d’inverno, a Boccadasse).

E il più infelice?

Non ho ancora scelto quale 😉

Quale sarebbe la disgrazia più grande?

Perdere la ragione, e il cuore. Forse sarebbe più grave perdere il cuore.

La materia scolastica preferita?

Italiano e Storia dell’Arte.

Città preferita?

Genova.

Il colore preferito?

Addosso il rosa, fuori il rosso.

Il fiore preferito?
La peonia rosa.

Bevanda preferita?

Il cartizze ghiacciato.

Il piatto preferito?
Ce ne sono troppi 🙂

Il suo primo ricordo?

Io che gioco con le macchinine, a tre anni, davanti alla porta del bagno chiusa. È sabato mattina, mio padre si sta facendo la doccia e io sto aspettando che mi porti fuori.

Se avesse qualche milione di euro?
Pagherei il mutuo di casa ai miei amici, ne metterei da parte per i miei figli, aprirei un ristorante minuscolo.

Libri preferiti di sempre?
Il dio delle piccole cose, Cent’anni di solitudine, Lamento di Portnoy, Alla ricerca del tempo perduto (tutti e sette i volumi).

Film preferiti negli ultimi anni?

Io non sono qui, C.R.A.Z.Y., Manhattan, I segreti di Brokeback Mountain.

Autori preferiti in prosa?

Alessandro Manzoni, Marcel Proust, Beppe Fenoglio, Cesare Pavese, Philip Roth, Chuck Palahniuk, Alice Munro.

Poeti preferiti?

Publio Virgilio Marone, Saffo, Guido Catalano, Giovanni Pascoli, Alda Merini, Erich Fried, Umberto Saba, Sylvia Plath, Ivano Fossati, Emily Dickinson.

Cantautore preferito?

Fabrizio De André, e poi Paolo Conte e Vinicio Capossela.

Il suo eroe o la sua eroina preferita?

Don Giovanni Bosco, Artemisia Gentileschi.

Il suo pittore preferito?
Matisse.

La trasmissione televisiva più amata?
Fuori orario.

Film cult?
I 400 colpi.

Attore perferito?
Mark Ruffalo.

Attrice preferita?
Kate Winslet.

La canzone che fischia più spesso sotto la doccia?

Non so fischiare. Canto Singing in the Rain, quando sono felice.

Se potesse cambiare qualcosa del suo fisico, che cosa cambierebbe?
Nulla, vorrei solo che le ginocchia mi funzionassero come un anno fa 🙂

Personaggio storico più ammirato?
Mohandas Karamchand Gandhi.

Personaggio politico più detestato?
Ce ne sono un sacco.

I nomi preferiti?
Quelli dei miei figli.

Quel che detesta di più?
Ipocrisia e violenza.

Se potesse parlare a quattr’occhi con l’uomo più potente del mondo, che cosa gli direbbe?

Facciamo la pace 🙂

Il dono di natura che vorrebbe avere?

Un sano menefreghismo combinato a un carattere solare. E saper suonare uno strumento.

Il regalo più bello che abbia mai ricevuto?
Due spalle larghe e una grande pazienza.

Come vorrebbe morire?

Nel sonno, possibilmente abbracciata a qualcuno che amo.

Stato d’animo attuale?

Multiforme, tendente alla curiosità 😉

Le colpe che le ispirano maggiore indulgenza?
Quelle legate alla passione (per chiunque o per qualsiasi cosa).

Il suo motto?

È della poetessa Gaspara Stampa: Vivere ardendo, e non sentire il male.

Lo so, è infinito 🙂
Ma, in fondo, è una coccola (e poi l’ha inventato Marcel Proust).
Io mi sono divertita, chi vuole farlo, lo faccia. Basta fare un copiaincolla e scrivere le risposte (e poi io vengo a vedere, perché sono curiosa).

soundtrack:  When I Was Young, The Animals

gran bollito

Ci sono due piatti che io considero conviviali, coi quali me la cavo abbastanza bene, e che mi piace preparare per fare amicizia.

Come forse ho già scritto qui sopra, è il mio modo per dire benvenuto, sono contenta di fare la tua conoscenza 🙂

Il primo è la bagnacauda: è allegro e colorato, pieno di verdure fresche e croccanti che tutti i commensali prendono con le mani e pucciano (come si dice in Piemonte) in una magica salsa bollente, morbida e saporosa.
Se la bagnacauda è comesideve, il contrasto tra la fragranza degli ortaggi e il calore dell’intingolo che racconta un legame speciale, di contadini e mercanti viaggiatori (l’aglio, l’olio in origine di noci e le acciughe salate) della mia regione di nascita con la Liguria, è straordinario.

Il secondo è il bollito o lesso, come si chiama in EmiliaRomagna, la terra dei miei genitori.
Il bollito ha un’apparenza molto più seria della bagnacauda, ma riserva delizie nascoste.

Intanto, non è una roba che si fa da sola, bisogna starci dietro.
Poi, deodora la casa di un aroma incantevole, che sa di famiglia.
La carne buona, qui a Milano, non è facile da trovare (non parliamo della testina), ma io ho i miei trucchi 😉
E ci sono le salse, che per me sono le tre salse, quelle che mi ha insegnato la mia nonna.
E le patate lesse, che sono una delle cose più buone del mondo.
E se una, per caso, ha un padre romagnolo, nel brodo ci butta i passatelli 🙂

Io sono sempre stata una bollito-addicted, fin da piccola.
La mia nonna (che era una santa) veniva ospite a casa mia tutti i weekend, arrivava il sabato pomeriggio e portava la crostata emiliana di marmellata di susine aspre da mangiare il giorno dopo.
Alla sera andava a dormire, prestissimo, nella camera degli ospiti e quando arrivavo la trovavo seduta sul letto che caricava la sveglia e mi sorrideva e mi abbracciava senza dire niente, e sapeva di acqua di rose e mi ricordo che aveva le medagliette della Madonna appuntate sulla camicia da notte con le spille da balia.

Dopo andavo a letto anch’io, ed ero felice perché sapevo che l’indomani la mia nonna avrebbe fatto il bollito.

Al mattino mi avrebbe mandata nell’orto a raccogliere il prezzemolo per le salse e dopo sarei andata a Messa e avrei guardato per tutto il tempo gli affreschi sulla navata con gli angioletti che spuntavano dalle nuvole rosate che a me facevano venire in mente le patate che avrei schiacciato con la forchetta per mescolarle alla sua salsa rossa.

Strepitosa.

p.s.
ho postato la foto dell’insegna di un santuario del gran bollito, i torinesi lo riconosceranno.
io ci sono stata una ventina di anni fa e me lo ricordo ancora adesso 🙂

soundtrack: Beauty, Ryuichi Sakamoto

amore in linea

Stasera la casa profuma di pane appena fatto, e l’Alga chiama la Cami al telefono per sapere come sta.

A.: Pronto, va tutto bene?

C.: Si, mamma tutto bene, solo che mi chiami troppo spesso.

A.: Ah. Quanto spesso ti dovrei chiamare?

C.: Magari ogni due giorni (ma anche no).

A.: Evabbé.

C.: Ok, allora ciao, mamma.

Clonck.

soundtrack:

questa notte è ancora nostra

Si fa un gran parlare, in questi giorni, della condanna e/o persecuzione da parte dei media  riguardo ai social networks tipo Fb e alla blogosfera in generale.

Naturalmente non sono d’accordo con chi li demonizza (ci mancherebbe) e credo di averlo dimostrato più di una volta, addirittura mostrando la pancia, ohibò 😉

Però un pensierino, stasera mentre caricavo la lavastoviglie, l’ho fatto.
È un pensierino piccolo piccolo, ma che in quest’anno a Milano (un anno di quasi totale isolamento) è diventato sempre più insistente, al punto che mi tocca spararlo fuori.

Insomma, io credo che si stia tante (troppe) ore davanti al monitor (ovviamente se non si tratta di lavoro, o studio, o ricerca) fondamentalmente per solitudine.

Ecco, l’ho detto.
E parlo anche per me.

Per solitudine intendo tante cose, anche la bassa qualità della vita, che può voler dire troppo lavoro e troppi pochi soldi per uscire, fare cose, vedere gente (come diceva Nanni Moretti), o la distanza da casa e dagli amici, o la malattia o metteteci quello che volete voi.

Senza offendere nessuno, la prova ce l’ho guardando quante volte le persone che conosco personalmente scrivono post sui loro blog o frequentano Fb: chi ha una vita "ricca", nel senso che ha altro di meglio da fare, sulla tastiera ci sta di meno.

È vero, il nostro mondo l’è quel che l’è, diamo pure la colpa ai ritmi convulsi, ai bombardamenti tecnologici, alle grandi distanze, alle migrazioni per lavoro, alle megalopoli anonime e disumane.

Ma, ditemi, chi di noi, avendo a disposizione qualche spicciolo (o libertà) per poter andare a mostre e concerti piuttosto che alla rassegna dei film di Venezia o un moroso/a con cui uscire alla sera e durante i weekend, un lavoro entusiasmante e creativo che non ci lasciasse un attimo di respiro, amici coi quali parlare "dal vivo" (magari davanti a un buon piatto e a un buon bicchiere), oppure qualcuno che ci reclamasse (in modo carino) a letto a una certa ora, passerebbe ore e ore a sfinirsi in arredamenti di case abitate da mostriciattoli virtuali, coltivazioni in fattoria, quiz idioti scritti in italiacano o aperture compulsive di biscotti della fortuna (ce ne sono anche alla Nutella, alla menta e piccanti, pensa te)?

Per esempio, io no di sicuro.

E adesso aspetto, sparatemi pure 😉

soundtrack:  



dagli appennini alle ande (tre distanze)

La Cami vive a To.
Io vivo a Mi.
E mi manca.

Ieri, per vederla giocare, ho fatto su un (melodrammatico) fagotto di tre biro (una nera, una rossa e una blu), due quadernoni con i buchi, il nulla osta del liceo di Brera (ovverossìa il mio tentativo mancato di regalarle qualcosa di bello), mezzo pane fatto in casa e alle dieci del mattino ho preso un treno.
Ho cambiato a Voghera e ne ho preso un altro.

Sono tornata a casa alle undici e mezza di notte, però almeno ci ho parlato (circa venti minuti), tra una partita e l’altra, mentre lei si ingozzava di gelati, e ho capito che è contenta della sua nuova vita, anche se ogni tanto va in ansia, ad esempio per la scuola.

Oggi era il primo giorno di scuola, appunto, e io non c’ero.
Speravo che venisse a casa per il weekend, e invece niente.

Devo abituarmi al fatto che non posso essere dove vorrei essere (e questa è roba vecchia), anche se le mammette all’autogrill di Novara, sulla strada del ritorno, dicono che non dev’essere abbandonata (eh?).

Pietro si sta prendendo i suoi spazi (e anche di più) da fratellominoreimprovvisamentesemifigliounico.
Stupidamente credevo che sarebbe stata un’occasione per entrare in contatto con quest’astronave adolescenzialmaschile che mi attraversa e mi sconquassa la casa (e non solo. e non pensate siano le palle, che del resto non ho).

Niente di più sbagliato.

Per ora se ne sta ritirato nei suoi possedimenti.

Io aspetto
, e intanto la macchina per il pane sta preparando la materia prima per la sua merenda di domani.
Forse la macchina per il pane saprà parlargli al posto mio.

Stasera il TV acceso sparava un gioco a premi in cui una madre di sette figli tentava di vincere una valanga di soldi per poter mandare il rampollo più piccolo a Los Angeles per conoscere Zac Efron.

E su questo, non ho niente da aggiungere.

soundtrack: 
    



tata matilda

La mostruosa (grazie al trucco e per esigenze di copione) Emma Thompson, alias Tata Matilda, è un mix tra Mary Poppins e Fräulein Maria di Tutti insieme appassionatamente.

Fa l’istitutrice in una specie di bucolica Inghilterra vittoriana dove tutti si abbigliano con colori lisergici, al posto della borsa contienitutto ha un bastone fatato e si trova a dover badare ai numerosi figli di un vedovo sbadato che si occupa di cadaveri.

Fin qui tutto normale, per essere l’ennesimo film pediatrico che stasera mi sono sciroppata con Pietro.

Ma ci son due cose che (a parte il cast stellare di vecchie e nuove glorie della cinematografia brit) mi sono piaciute tanto.

La prima è che le regole esistono, vanno insegnate (non sempre i legittimi genitori, oppressi dalle preoccupazioni e dai sensi di colpa, sono in grado di farlo), e vanno insegnate con calma e distacco, facendo capire bene che le conseguenze ricadono su chi compie una determinata azione. Semplicemente.
Non a caso, il sottotitolo originale del film suona: Behave or Beware, qualcosa tipo sappiti comportare, o sono tutti cazzi tuoi (che è quello che esattamente succede nella vita, anche in quella degli adulti).

La seconda è che questa Tata Matilda, man mano che i problemi si risolvono, perde tutti i suoi porri e nei pelosi, affina le sopracciglia da urangutan, e ridimensiona lo spaventoso dentone frontalsuperiore che la sfigura per la maggior parte della durata del film.
Vale a dire che l’amore rende belli o meglio, migliora le persone e, anche se sembra una banalità, è verissimo (provato in passato sulla mia pelle) e lo dice anche Ivano Fossati.

Mi sembrano due messaggi molto validi, che vale la pena passare ai nostri figli fin da piccoli.
Il punto è come farglieli passare, ma questo è un altro problema.

L’unica cosa che non mi è piaciuta è che alla fine, secondo me, Colin Firth (uno dei pochi attori viventi che trovo veramente sexy e che ha appena vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia come protagonista di A Single Man di Tom Ford) avrebbe dovuto sposare Tata Matilda e invece no, ma non vi dico come va a finire, anche se è un film vecchio e l’avrete già visto in mille, perché altrimenti la Gazz mi fa il culo 😉

soundtrack: