mosca cieca

Oggi alle diciassetteetredici sei nata, oggi alle diciassetteetredici compi quindici anni.

Ma adesso è ancora notte, fuori ci sono tuoni e fulmini e io sono in cucina.
Le ginocchia non le sento più, però non riesco a smettere di cacciare roba nel forno: i muffins al supercioccolatofondente per le tue compagne di squadra, un numero esagerato (tanto, spariranno tutti in un nanosecondo) e poi un tentativo di torta inventata.

Ci ho messo dentro tutte le cose più buone che sono riuscita a trovare, tra frigo e dispensa.

Lo zenzero fresco, un ananas profumato, la farina Manitoba.
Siccome di farina non ce n’era abbastanza, ci ho messo anche le palline di cereali al miele.

Secondo me riuscirà bene ma chissà se ti piacerà…

Beh, tu prendila come l’ennesimo tentativo di contatto, fatto così, un po’ alla cieca, un modo goffo e arrischiato per farti capire che ti voglio bene.

Ché in quest’ultimo anno sei cresciuta così tanto.
E certe volte non so nemmeno come dirtelo, che ti voglio bene.
Così ti guardo, e basta.

Buon compleanno, tesora, io continuo a provarci.

soundtrack: Piccola mela, Francesco De Gregori

due partite

I miei ultimi seieuroecinquanta, li ho spesi proprio bene e non m’importa se domani non ne avrò per comprarmi da fumare.

Senza dilungarmi in descrizioni, consiglio a tutte le donne che passano di qui di andare a vedere questo film tratto dalla piéce teatrale di Cristina Comencini [recitato benissimo, devo ammetterlo, anche se è un film italiano ;-)] e tutto solo di donne (anche se si parla, e molto, di uomini), con le proprie figlie se sono abbastanza grandi e ci si fanno trascinare e, se possibile, anche con le proprie madri.

Per riflettere, e magari discutere, di questa vita da femmine che è proprio una partita (fondamentalmente di solitario) e che, di generazione in generazione, alla fine non cambia mai.

Divertente.
Commovente.
Per certi versi, illuminante.

Grande colonna sonora.

soundtrack: Se telefonando, Mina

domani si balla

Le ferite, dopo un po’, fanno la crosta.

Quando la crosta si secca e cade, resta la cicatrice.
La pelle, in quel punto, diventa traslucida e un po’ più chiara, non si abbronza d’estate e non sente quasi più niente.

Evviva, sono a un passo dalla felicità.

In altre parole, sono a un passo dal fottermene, di tutto e di tutti (me compresa).

🙂

soundrtrack: Felicità, Al Bano & Romina Power

cuore di mamma

mammeCip cip.

🙂

Ebbene sì, la sensazione di esilio generata dal ritmo infernale milanese casa-redazione-redazione-casa, l’azzeramento di serate libere e l’esiguità del mio bilocsenzabalcone hanno avuto il sopravvento: da qualche giorno, timidamente, cinguetto anch’io.

E, con Twitter, sono capitata qui.

Come dire, una boccata d’aria in attesa di un qualsiasi Barcamp alla mia (anchilosata) portata.

Sognando il Litcamp che mi piacerebbe tanto.
Ma non so.

soundtrack:



giulia non esce la sera

Di questo film salvo:

la sequenza dei titoli di testa, che mi è sembrata struggente;
la faccia stralunata di Mastandrea, molto adatta al ruolo di un uomo completamente perso (ma mi viene il dubbio che sia la sua espressione naturale);
il corpo adolescenziale della quarantenne Golino (che spiega il fatto che un zovinotto come Scamarcio preferisca lei agli stuoli delle di lui insipide coetanee);
le mani di lei che, nell’abbraccio, agguantano la camicia di lui;
una certa rappresentazione dell’inquietudine di chi è schiavo della propria scrittura, e ci passa le notti;
il coraggio dei protagonisti di sedursi bardati con la cuffia da bagno (che, si sa, non è certo una mise affascinante).

Non salvo:
l’atmosfera irrimediabilmente da sit-com (e porcapaletta, possibile che il settantapercento del cinema taliano sia così?);
Degli Esposti che sbatte la dentiera;
gli adolescenti dismorfici (troppograssa, troppomagra, tropponasutoesaccente) e dallo sguardo vacuo;
la moglie di lui che squittisce nontipiacecomescoponontipiacecomescoponontipiacecomescopo?;
i soggetti insulsi e banali che lo scrittore digita al Mac (ma perché poi non li cestini? e cestinaliiiiiiiiiii!);
il finale precipitoso e raffazzonato (che fretta c’era?)
e, soprattutto, la canzone dei Baustelle sui titoli di coda, cantata anche dalla stonatissima e afona Golino, con un testo scombinato e involontariamente comico (a proposito, caro Carlo, ma mentre stavi dietro alla consolle, non ti veniva da ridere?).

Insomma, siamo alle solite: una bella occasione buttata nel cesso.

Poteva essere (almeno) un film carino, invece ci ritroviamo con una specie (lo so, il paragone è un po’ tirato per i capelli, ma questo dipende dalla mia naturale perfidia) di The Reader de noantri.

E pensare che ci tenevo così tanto, a vederlo.
Invece, alla fine mi ha fatto venire il nervoso.

Uffa.

soundtrack: Mediamente isterica, Carmen Consoli

brancaleone alle crociate

panca
Ti aspetto davanti a casa, andiamo al parco a leggere un po’.

No, il parco mi fa cacare, voglio stare in casa.

Ma non si sta bene, qui?

Ho freddo.

Sei fortunata, la prof ti ha dato un bellissimo libro da leggere…

Mi fa cacare anche quello, e poi chi cazz’è ‘sto John Fante?

Già, chi cazz’e. Magari leggiamo insieme l’introduzione. così inquadriamo il romanzo…

Le introduzioni sono noiose e non servono a un cazzo.

Ma è di Vincenzo Cerami

(venti minuti dopo)

Che schifo, è una storia di sfigati.
Il padre muratore disoccupato da cinque mesi che gioca a biliardo e torna a casa sporco di rossetto, la madre cattolicissima e il protagonista che a quasi diciotto anni è alto unmetroessesantacinque: cos’è, un nano del circo?

Erano un po’ sfigati perché erano immigrati italiani e poi c’era la Depressione, quella del ’29, sai…

La che?

Dai, leggine un pezzetto a voce alta, a me John Fante piace un sacco.

Vabbé, uffachepalle.

Oh, Braccio! Braccio forte e fedele, parlami con dolcezza. Parlami del futuro, della folla osannante, il lancio che vola al limite dell’irregolarità, i battitori che si molleggiano sulle ginocchia, dimmi che fama e fortuna e vittoria ci apparterranno. E un giorno moriremo, e giaceremo l’uno accanto all’altro in una tomba, Dom Molise e il suo meraviglioso braccio, il mondo dello sport sotto shock, in lutto, il telegramma del Presidente degli Stati Uniti alla mia famiglia, le bandiere a mezz’asta in ogni stadio della nazione, i fans che piangono senza ritegno, la biografia in quattro parti di Damon Runyon sul Saturday Evening Post: Trionfo sull’avversità: la vita di Dominic Molise.

Mamma, che fai, piangi?
Minchia, sei proprio una babba, sei.

soundtrack:

l'uomo ombra

Ho letto questa cosa che mi ha fatto riflettere e così, di getto, ho pensato che vorrei essere trasparente come l’uomo dello spot della Sambucamolinari.

Chissà se a volerci bene ce lo insegna qualcuno, quando siamo piccoli, oppure possiamo impararlo da soli.
Io in quarantotto anni sono riuscita solo a tollerarmi, che mi sembra già un bel traguardo.

Diciamo la verità, fisicamente mi faccio cacarissimo, di testa e di cuore mi trovo appena passabile.
Eppure non aspiro alla perfezione assoluta: per dire, non mi cambierei con nessun altro.

Non pretendo di adorarmi (anche se non sarebbe affatto male), mi basterebbe piacermi un po’.
Confesso che sono anche abbastanza stufa di trattarmi a pesci in faccia (perché, tra l’altro, è un grande spreco di energia) ma che ci posso fare, non mi reggo. È come quando una persona ti sta sul culo: cosa puoi fare, a parte evitarla?

Niente, mi sono data un sacco da fare, lo giuro.

E sono arrivata alla conclusione che, checcazzo, mica posso continuare a sforzarmi così.

Meglio essere sinceri e lasciarsi perdere.
Meglio smetterla una volta per tutte di accanirsi e ignorarsi, appunto.

Magari dopo, da invisibili, è più facile (e finalmente ci si riposa anche un po’).

soundtrack: Je suis venue te dire que je m’en vais, Carmen Consoli

signore e signori, buonanotte

Vauro è stato sospeso da AnnoZero
(come se il CdA della Rai ignorasse il fatto che si può e si deve fare informazione anche in modo scomodo: ma non sono giornalisti?)

I Pooh non sono più in quattro
(vabbé, non sono mai stata una fan però che tristezza, quando una storia finisce)

Impossibile, ormai, andare su Skipe, pena l’apertura di centinaia di finestre e la domanda è sempre la stessa: che taglia di reggiseno c’hai?
(cheppalle)

soundtrack: Ma l’amore no, Antonella Ruggiero