genitori in ostaggio

Il 2010 non è stato una passeggiata.
Ma fortunatamente, essendo una vecchia (tra l'altro ho anche compiuto cinquantanni, il che non è proprio come compierne venti) quercia, ho tenuto botta, come si dice qui nella bassa padana.

Però è proprio vero che, anche se ti sembra di averne viste di tutti i colori, non hai ancora visto niente.
E c'è sempre una prima volta.

Per esempio, a me stasera è toccato il battesimo del cinepanettone, ebbene sì.

Per i kids darei corpo e anima (e loro, purtroppo, lo sanno), sono disposta a tutto: sveglie ad ore imprecisate della notte e del primo mattino, veglie, accompagnamenti, ore di studio che fatalmente si trasformano in risse, segregazione serale per anni e anni.

Pur cercando qua e là di rifilar loro qualcosa d'autore, li ho portati a vedere decilioni (si può dire? non so, ma rende l'idea) di cartoni animati, film fantastici, film fintofantascientifici, film d'azione (per me totalmente soporiferi), credevo di essere ormai fuori dal tunnel.

Erroneamente.
Stasera la Cami mi ha formalmente chiesto di andare a vedere tutti insieme appassionatamente Natale in Sud Africa.
Confesso che mi si è accapponata la pelle, ma ero così felice di averli tutti e due, finalmente, a casa, che non ho saputo dir di no.

Così, sperando di non incontrare nessuno e pensando con grande angoscia e pesantissimi sensi di colpa a cosa avrebbero detto Concajoni e Woody Allen se avessero saputo (avevo anche pensato di indossare un sacchetto del pane con due buchi per gli occhi allo scopo di non essere eventualmente riconosciuta, ma i kids mi hanno cassato l'idea), sono entrata nel girone infernale della multisala più vicina, ho guadagnato la sala 12, mi sono seduta in sesta fila laterare e lì ho visto.

L'orrore.

Un delirio senza trama, un'accozzaglia di pessimi attori (alcuni bravi ma che facevano finta di essere pessimi) doppiati da loro stessi fuori sincrono, tette strizzate, tette rifatte, donne sofferenti di lordosi acuta, doppi sensi che non facevano ridere, schiaffoni alla Bud Spencer, ippopotami con crisi di scoreggie e perfino un leone spettinato da un rutto.

Non sono un'ingenua, sapevo a cosa stavo andando incontro.
Ma non fino a questo punto. D'ora in poi potete chiedermi addirittura di andare in ginocchio fino a Pioltello, o di non mangiare cioccolata fino al prossimo Natale, ma di tornare a vedere una schifezza del genere no. Mai più, never more, jamais. Non ci sono kids che tengano.

E beh, anche se sono un'estimatrice e una praticante del lamento, anch'io in fondo ho i miei lati thinkpink.
Tipo che poco fa, mentre in cucina stavo placidamente preparando lo stratosferico macco di fave che porterò in dote (è proprio il caso di dirlo) domani sera a cena da amici, insieme con la caponatina di melanzane, le panelle, lo stracotto e il cheesecake ai mirtilli, pensavo che il cinepanettone è stata l'ultima prova dell'anno, una specie di contrappasso: da mezzanotte in poi tutto sarà più facile, più buono, più bello.

La coccinella che, improvvisamente e chissà poi da dove, mi è planata su una spalla, ne è stata l'irrevocabile conferma.

p.s.
non vi faccio gli auguri, ma vi mollo la ricetta del portentoso macco (che non è mia bensì del mio amico, grande chef, Filippo La Mantia).

mettete in una pentola piena d'acqua leggermente salata 500 grammi di fave secche decorticate, due patate piccole pelate, un mazzetto di finocchietto selvatico, qualche foglia di basilico e qualche foglia di alloro.
portate a bollore e cuocete a fuoco dolcissimo per circa tre ore.
frullate col magico minipimer.
servite con un giro d'olio evo, una macinata di pepe nero e una grattata di caciocavallo ragusano.

p.p.s.
il macco farà parte di un tris siciliano, accompagnato dalla caponatina e dalle panelle.
la ricetta delle panelle, se avete la pazienza di cercarla, la trovate da qualche parte qui sul blog.

soundtrack:

bread and roses

Adoro il buon cibo (e si vede, purtroppo…) ma non ho mai pensato che fosse abbastanza, per essere felici.

Quando abitavo sulla collina (ben prima di Dogville e di tutto il resto), facevo due cose che mi davano grande soddisfazione.
Una volta alla settimana calavo in città, andavo in un certo forno dove facevano un meraviglioso pane integrale a lievitazione naturale e compravo quello del giorno prima.
Era ancora più buono, e costava la metà.
E ogni lunedì, passavo dalla fiorista e chiedevo se era avanzato qualcosa. Lei era ben contenta di liberarsi dei fiori che non avrebbe più potuto vendere, magari solo perché erano un po' troppo aperti, e io avevo una casa degna dei più bei film di Visconti a un prezzo ridicolo, bastava spuntare due centimetri di gambi.

Paula Pryke sostiene che il vero lusso è (almeno) un fiore fresco in ogni stanza e io sono d'accordo, ma dove vivo ora questa cosa del pane e rose proprio non la posso più fare.

Hearts starve as well as bodies…

Basterà, per ora, il mio coraggioso amaryllis appena sbocciato e una coppetta di crema di yogurt greco con su un giro di miele bio e un cucchiaio di granella di nocciole tonde gentili?

Magari sì.
In fondo, lo diceva anche Emily Dickinson:

per fare un prato ci vogliono un trifoglio e un'ape,
un trifoglio e un'ape,
e il sogno.
il sogno può bastare,
se le api sono poche
.

soundtrack:

c’è post@ per te

Eh eh, quella lì potrei essere io, quasi ogni sera da mezzanotte alle due.
Ma non sono così magra e, soprattutto (disdetta!), non ho tutti quei capelli.
And, last but not least, la mia postazione non è così carina e ordinata.
Io non sono Kathleen Kelly, e il mio film non è il suo.

Però mi ha fatto davvero piacere rivederlo, ieri sera mentre stiravo.
È un film da stiro, appunto, quindi niente di che.
Ma ci ho trovato un sacco di cose carine, per esempio che non usano i cellulari, nemmeno quando sono bloccati in ascensore (chissà perché? eppure è del 98) e poi che è un remake del famoso film di Lubitsch del 1940.

Fermo posta.
E-mail.
In fondo, dal punto di vista emotivo (parlando di aspettative), è la stessa identica cosa.
E poi, questa cosa di innamorarsi senza sapere di chi (e invece, in fondo, sapendolo benissimo), non è romantica?

Vabbé, è un post senza né capo né coda.
In questo momento va così.

p.s.
se per caso vi interessasse, durante la scena finale, mi sono messa a piangere come Kathleen.
ma io due secondi prima 😀

soundtrack:

le vite degli altri

Mentre tutto, fuori, impazza sotto l'influenza del periodo natalizio e tutti si cacciano e si intasano nei supermercati, nei centri commerciali, da Ikea, in città il sabato pomeriggio, io prevedo che passerò la notte della vigilia sotto il piumone in compagnia dei miei libri di cucina e, nel frattempo, faccio cose semplici.
Più che semplici, basiche.

Per esempio, i germogli.

Con loro è stato amore a prima vista, diciotto anni fa, in Virginia.
Quelli di alfalfa (taccole) li vendevano al supermarket e sopra il pane spalmato di formaggio quark, a colazione, erano una meraviglia.
Freschi, croccantini, aromatici, delicati (e ovviamente farcitissimi di sali minerali, antiossidanti, proteine eblablaeblabla).

Sono squisiti, sono facili, sono divertenti da veder crescere e si fanno in casa, basta un germogliatore e un po' d'acqua. Il germogliatore è caro, così me ne sono fabbricata uno a costo zero, con le vaschette della verdura del discount.
Dopodomani saranno pronti da giustiziare, sulla crema di verdure o nell'insalata. Il loro sapore mi farà pensare ai cerbiatti che vedevo oltre la mia finestra, mentre facevo colazione, a Middleburg, mi consolerà delle cose che ho perso, mi confermerà che la mia attuale vita francescana, sobria e rigorosa, è buona è giusta.

Ooops, scusate.
Devo andare in cucina a tirar fuori dal forno la torta di nocciole, quella che si fa solo a La Morra, con le tonde gentili i.g.p. che mi sono portata a casa, uno degli ultimi weekend.

Magari poi vi passo la ricetta.

soundtrack:

un altro mondo

I giorni che precedono Natale sono sempre difficili, per me.
Anche dolorosi. Ma poi, come la maggior parte dei dolori, per fortuna passano.

Stanotte stavo guardando le foto di un'isola bellissima. Le hanno scattate dei miei amici.
Le guardavo e pensavo cosa mai mi costringa a vivere, in obbiettive difficoltà, in un mondo apparentemente civile anziché, a mio agio, in un altro mondo, apparentemente primitivo.

A parte i kids, credo nulla, perché mi basta davvero poco.

Così, nel frattempo, ho deciso che domani sera non andrò a una certa festa. Ci stavo litigando da giorni, tra me e me, su questa cosa.
Poi, tre minuti fa, ho deciso che no. E mi sento meglio.

Non sono una persona naturalmente solitaria, ho da sempre fame di conoscenza, e di affetto.
Ma sono delusa. Ho sperimentato il vuoto e la solitudine in mezzo alla gente e, tante volte, per me la solitudine vera è stata un sollievo.

Lo è anche adesso.
E mi basta frugare tra i miei incensi, accenderne uno che sa di benzoino, smorzare le luci e decidere di andare a sdraiarmi tra i miei libri di cucina.
Aprirne uno e aspettare il sonno.

Domani sera farò qualcos'altro.
E andrà bene così 🙂

soundtrack:
 

così lontano, così vicino

Alga: e così, sabato sera, sono andata alla festa di E. e P. È stato bello, anche se un po' triste: praticamente era una festa di addio, loro vanno a stare a Bali. Mi sono portata a casa un tre chili tra libri e dischi, regalavano tutto, loro vogliono viaggiare leggeri…

Pietro: urca, certo che dev'essere un bel posto… ma come fanno con i soldi?

A.: beh, la vita là costa un quinto… e poi fa sempre caldo

P.: dai, mamma, andiamoci anche noi!

A.: ma se non vuoi nemmeno andare a stare a Porta Venezia…

P.:  …

soundtrack: