Evabbene, oggi sono vittima di un attacco di scrittorrea.
Del resto, fa un caldo porco, sono asserragliata in casa da sola, ostaggio della stirella, il telefono tace come sempre e io, come sempre, ho voglia di comunicare.
Poi, la scrittorrea mi va anche bene 🙂
Tra una stirata e l’altra ho letto su D del nuovo libro di Corinne Maier.
E devo dire la mia, anche se non farà piacere a tutti (e sarà una conferma per chi pensa che io sia una cattiva madre), ma me ne faccio un baffo, questo è il mio blog.
Qualche anno fa, la mia amica A. ed io avevamo avuto l’idea di scrivere un libro intitolato piùommeno Maternità, un’esperienza devastante piuttosto che Abusate due volte. Poi naturalmente, con tutti i casini che c’abbiamo e le corse che dobbiamo fare, non se ne è fatto nulla.
Ne avevamo parlato tanto, però.
Di come ci sentiamo, noi della nostra generazione, schiacciate tra un’educazione repressiva e una maternità difficile da gestire proprio perché abbiamo rifiutato quei modelli educativi ma ci troviamo senza riferimenti.
E i figli, quelli, ti mangiano viva.
Le nostre madri non ne avevano la consapevolezza (noi sì), o forse riuscivano a tenere bene le distanze (noi no).
Di come sia dura (economicamente, figuriamoci emotivamente) tirare su dei figli da sole, magari con un ex che non condivide le tue scelte o che ti rema contro e senza una famiglia allargata che ti dia una mano.
Di come ci si possa sentire prigioniere, sepolte per anni in casa, mentre vorresti riempirti gli occhi, le orecchie e la bocca (e anche la pelle, le carezze sono importanti) di cose belle.
Anche i bambini sono belli :-), ma tu non sei un tutt’uno con loro. Tu, rimani (anche) tu.
Non sei una madre e basta, anche se hai fatto dei figli.
Di come ci si possa sentire stanche da morire, e drammaticamente sole, anche avendo una casa piena di corse, urla e risate.
E, soprattutto, di come ci si possa sentire in colpa, e sbagliate, per questo.
Oggi ho letto questo articolo, e qualche frammento di libro.
Sicuramente lo comprerò.
Da quel che ho potuto vedere, su certe cose non son d’accordo.
Per esempio sul parto: certo, fa un male porco. Ma è naturale, no?
E poi non c’è cosa più strabiliante e strana e magica del poter guardare per la prima volta tuo figlio negli occhi.
O tenerlo tra le braccia, o guardarlo crescere.
Ma sono cose che paghi e, forse, le paghi troppo care.
Le paghi in solitudine, nostalgia, senso di inadeguatezza, stanchezza cronica, paura, delusione e vergogna per il fatto di provare tutto questo.
Spesso, quando parlo con chi di figli non ne ha, e magari mi ammira (o un po’ mi "invidia" per quello che faccio) dico che non essere genitori non è una colpa, che fare bambini è facile, in questo non c’è nessun merito.
Il difficile è tirarli su, il difficile è confontarti tutti i sacrosanti giorni con la dicotomia tu/loro, perché poi ognuno fa quello che può.
D’accordo, con tutto l’amore, perché figliare è una scelta (e se per caso ti capita tra capo e collo è lo stesso una scelta, solo che è inconscia).
Ma non so, se tutto l’amore è abbastanza.
soundtrack: In bianco e nero, Carmen Consoli