la vita segreta delle parole

Per fortuna piove.
È venuta la Parda, dopo cena.
Era tanto tempo che non ci si vedeva.
Abbiamo bevuto un buon barbera, al buio sul balcone, chiacchierando.
È così bello, parlare.

Per fortuna, stasera mia madre (che ha ottantatrèanni) mi ha detto una cosa carina.
Era tanto tempo che non lo faceva.
Mi ha detto: sai, ieri notte che non potevo dormire, mi sono fatta l’elenco dei ragazzi che mi sono piaciuti.
Con alcuni ci sono uscita, con altri no.
Ma quelli con cui sono uscita, li ho tutti piantati io.

Eeehhhh, mamma…

soundtrack: Ironic, Alanis Morissette

l'enfant

no kidsEvabbene, oggi sono vittima di un attacco di scrittorrea.
Del resto, fa un caldo porco, sono asserragliata in casa da sola, ostaggio della stirella, il telefono tace come sempre e io, come sempre, ho voglia di comunicare.
Poi, la scrittorrea mi va anche bene 🙂

Tra una stirata e l’altra ho letto su D del nuovo libro di Corinne Maier.
E devo dire la mia, anche se non farà piacere a tutti (e sarà una conferma per chi pensa che io sia una cattiva madre), ma me ne faccio un baffo, questo è il mio blog.

Qualche anno fa, la mia amica A. ed io avevamo avuto l’idea di scrivere un libro intitolato piùommeno Maternità, un’esperienza devastante piuttosto che Abusate due volte. Poi naturalmente, con tutti i casini che c’abbiamo e le corse che dobbiamo fare, non se ne è fatto nulla.
Ne avevamo parlato tanto, però.

Di come ci sentiamo, noi della nostra generazione, schiacciate tra un’educazione repressiva e una maternità difficile da gestire proprio perché abbiamo rifiutato quei modelli educativi ma ci troviamo senza riferimenti.
E i figli, quelli, ti mangiano viva.
Le nostre madri non ne avevano la consapevolezza (noi sì), o forse riuscivano a tenere bene le distanze (noi no).

Di come sia dura (economicamente, figuriamoci emotivamente) tirare su dei figli da sole, magari con un ex che non condivide le tue scelte o che ti rema contro e senza una famiglia allargata che ti dia una mano.

Di come ci si possa sentire prigioniere, sepolte per anni in casa, mentre vorresti riempirti gli occhi, le orecchie e la bocca (e anche la pelle, le carezze sono importanti) di cose belle.
Anche i bambini sono belli :-), ma tu non sei un tutt’uno con loro. Tu, rimani (anche) tu.
Non sei una madre e basta, anche se hai fatto dei figli.

Di come ci si possa sentire stanche da morire, e drammaticamente sole, anche avendo una casa piena di corse, urla e risate.
E, soprattutto, di come ci si possa sentire in colpa, e sbagliate, per questo.

Oggi ho letto questo articolo, e qualche frammento di libro.
Sicuramente lo comprerò.
Da quel che ho potuto vedere, su certe cose non son d’accordo.

Per esempio sul parto: certo, fa un male porco. Ma è naturale, no?
E poi non c’è cosa più strabiliante e strana e magica del poter guardare per la prima volta tuo figlio negli occhi.
O tenerlo tra le braccia, o guardarlo crescere.
Ma sono cose che paghi e, forse, le paghi troppo care.
Le paghi in solitudine, nostalgia, senso di inadeguatezza, stanchezza cronica, paura, delusione e vergogna per il fatto di provare tutto questo.

Spesso, quando parlo con chi di figli non ne ha, e magari mi ammira (o un po’ mi "invidia" per quello che faccio) dico che non essere genitori non è una colpa, che fare bambini è facile, in questo non c’è nessun merito.
Il difficile è tirarli su, il difficile è confontarti tutti i sacrosanti giorni con la dicotomia tu/loro, perché poi ognuno fa quello che può.
D’accordo, con tutto l’amore, perché figliare è una scelta (e se per caso ti capita tra capo e collo è lo stesso una scelta, solo che è inconscia).

Ma non so, se tutto l’amore è abbastanza.

soundtrack: In bianco e nero, Carmen Consoli

il bacio della donna ragno

Sono timida e un po’ selvatica.
Per mia natura, non amo le cosiddette effusioni in pubblico.

Personalmente, trovo imbarazzante dover assistere a rotolamenti in spiaggia sotto il sole di mezzogiorno piuttosto che ad avvinghiamenti stilekamasutramavestiti sulla mia stessa panchina, mentre sto cercando di leggere un libro.
Non scandaloso, imbarazzante, e basta.

Però è bello, a qualsiasi età, camminare tenendosi per mano, oppure baciarsi in piedi, magari in un angolo o contro un muro, magari di sera, quando è quasi buio.
Avercene, di baci così.
Farebbe bene a tutti quanti.

Se proprio dovessi denunciare qualcuno, lo farei con quelle che, al parco, schiacciano i punti neri al fidanzato a due metri dalle famigliole che fanno il picnic.
Quelli sì, che sono atti osceni in luogo pubblico.

soundtrack: Pink moon, Nick Drake

xxy

L’audio e’ stato cancellato dallo spazio su Splinder

Ci sono andata per caso, perché volevo vedere Rivette ma, come al solito, ho capito romapertoma e ho cannato l’orario.

Sono stata attirata dal fatto che il regista fosse una donna e che il film avesse vinto tre premi a Cannes (vincere a Cannes o a Venezia, Berlino, Torino per me è molto ma molto di più che vincere l’Oscar) e, stavolta, sbagliare qualcosa mi ha portato fortuna.

Perché è una storia commovente ma non mielosa, girata benissimo negli spazi sconfinati di mare e sabbia e scogli e vento vicino a Montevideo.
Perché parla con grande delicatezza di una ricerca di identità e, nello stesso tempo, è roba forte.
Perché racconta di due solitudini decise dalla diversità (e dalla sofferenza che si impara a sopportare, ogni giorno) che si incontrano, si annusano e si attraggono, in un modo timido e disperato che fa venire cinque centimetri di pelledoca.

Perché il non scegliere dovrebbe essere un sacrosanto diritto, per ognuno di noi.

soundtrack: Jóga, Björk

vacanze romane

È finita.
E adesso?
Boh.

Bilancio delle ultime ventiquattrore:
cinquesei lividi
una tetta dolorante, causa pugno
l’abbraccio di sette animatori, che per una volta mi hanno dato del tu (così mi sono sentita meno giurassica, e comunque ho capito che hanno lavorato bene con me, e io con loro)
una torta pediatrica divorata alle dieci di mattina
un bambino che sarà sempre più solo, con i suoi fantasmi (e nessuno sembra capirlo)

una bambina sconosciuta che mi ha regalato un orsacchiotto (e dopo ho pianto, perché non ci credo mai, che qualcuno si possa affezionare a me, però l’ho fatto in macchina mentre nessuno mi vedeva)
la casa vuota
un tentativo di sbrinamento del frigo con phon e martello
una persona carina che mi ha invitata a cena in un posto di pesce proprio buono.

Ma buono buono 🙂

Prospettive (a breve termine):
dormire, se mi riesce.
Dopo, non so.

soundtrack 1: Holiday, Madonna
soundtrack 2: Lather, Jefferson Airplane

l'altra faccia dell'amore

L’audio e’ stato cancellato dallo spazio su Splinder

Dopo una giornata infernale, è bello (anche se, quando torni a casa,  sembra un porcile e ci devi dare dentro per salvare il salvabile) trovare della musica che ti aspetta.

Schiaffi il dvd nel lettore, e ascolti.
Non riesci a credere di quanto tu sia diventata più ricca, in poche ore di assenza.
Ricca e potente, alla faccia dei pochi spiccioli che ti fanno sospirare, o che ti negano non si sa perché.

Potente e libera: quando ascolti spicchi il volo, e non è che te ne vai via, su un altro pianeta.
Semplicemente, sorvoli.
Stai a mezz’aria, fa più fresco, lassù.
Le cose ti sembrano più sopportabili e ti fanno un po’ meno paura.
Dall’alto guardi sotto, anche se abitualmente soffri di vertigini, ma adesso no.

Guardi sotto e vedi la tua giornata (e magari anche la tua vita).
Non è vero che la vedi migliore. La vedi orribile, esattamente come è stata.
Ma la musica.
Ah, la musica…
Quella ti salva, nonsisacome.

Grazie a Belfagor, che mi ha solleticato la curiosità.
Grazie a Stefano, che mi regala la musica.

p.s.
sperando che il giardiniere sia un giardiniere gentile.
e che ci sappia fare, con le piante.

soundtrack: Nel mio giardino, Cristina Donà

nanook l'eschimese

frigofrigo1frigo2frigo3

Cavolo, questo è un outing niente male.
Invitata da Estrellita, mi trovo a dover mostrare la parte peggiore della mia cucina: il frigo.
Lo faccio perché in fondo mi diverte.
Ma quasi quasi preferirei mostrare il mio flat ass, il che è tutto dire.
Significa che ormai sono senza pudore e quindi ecco qua.

Siori e siore, questo è il mio frigo, specchio fedele della mia personalità.
Disordinato.
Stipato fino all’inverosimile.
Con sopra un’icona alquanto eloquente 😉
E le letterine magnetiche con le quali giocano i kids a lasciarsi messaggi piùomeno vaffanculeggianti.

Sembra riempito di provviste in previsione della terza guerra mondiale.
Invece sono solo avanzi, avvolti in carta d’alluminio, perché detesto buttare, e sono naturalmente portata a cucinare per un esercito.
Di cose di Eataly ho giusto un barattolo di composta di prugne Santa Clara e una gazzosa, Eataly è terribilmente caro.
All’interno dei cassetti giacciono quintali di verdure, il congelatore sottostante, poi, meglio lasciarlo perdere (tranci di tonno fresco per fare il sushi a parte).

Nello sportello potete vedere la schiera di salse, che compro per golosità, ma poi mi vengono i sensi di colpa e le lascio lì ad invecchiare.
Sotto ci stanno le uova e i burri, tra cui quello di karité per fare i massaggi.
Sotto ancora, il minimo sindacale per bere: acqua minerale, succo d’arancia, latte.

Questo durante la settimana.
Perché, nei weekend, il mio frigo trabocca di Veuve Cliquot Ponsardin ghiacciato 🙂

Stavo scherzando, dai.

soundtrack: Freezer, Skiantos

grindhouse – a prova di morte

Questo film è molto strano, e bello.
Debordante di citazioni, volutamente "graffiato" e pieno di salti in pellicola.
È un po’ western, un po’ Duel, un po’ Il sorpasso.
Kurt Russell non era mai stato così cattivo (e così bravo), da Iena Plinsky in poi.
Ci sono dinamiche femminili complicate e gli ultimi trenta minuti sono pulp e vendicativi nel vero senso della parola.
Devo dire la verità, ci ho proprio goduto.

Torno a piedi e saluto C. e intanto che cammino cerco di capire perché alla fine mi sono esaltata tanto.
Forse sono ancora incazzata, o ferita.
Ma quanti anni ci vogliono, perché passi?
Forse mi manca il mio cane.
Ma ormai non credo che basterà un nuovo cane.
Tantomeno un nuovo uomo.

Mentre queste cose mi passano nella testa, Simpathy for the devil mi passa negli auricolari e attraverso la piazza e, davanti all’edicola, un tipo mi guarda di striscio e io guardo di striscio lui.
Attacco la salita, io vado sempre di corsa, quando sento una cosa dura contro la scapola sinistra.
La vertigine mi sale dalle gambe e d’istino premo sull’ipod che si spegne in tempo per sentire dammi i soldi, dammi il bancomat.

Mi viene da piangere e anche la nausea. Però nello stesso tempo mi monta una gran rabbia e, al posto del vomito, mi esce ma se sono sotto di millecinquencento.
Nello stesso istante dalla parte opposta della strada arriva gente, e la cosa dura si smaterializza.
Mi volto, non c’è più, si vede che non era convinto.
La macchina è lì davanti, ci salgo sopra e mi tremano le mani.

Quando finiscono di tremare giro la chiavetta e ingrano la prima.
E non penso più a niente.
Non penso più a niente.

soundtrack: Go go not cry cry, Robert Rodriguez & Rick Del Castillo

cuore selvaggio

Sola in casa anche per la notte, la cucina ingombra di piatti sporchi e nelle orecchie ancora i suoni e le risate di una cena come si deve, come quelle di tanti anni fa (mimmate comprese), all’improvviso mi accorgo che oggi è il mio onomastico.

E, capperi, Santa Cristina di Bolsena credo che sia quella che in assoluto ha fatto il pieno di tipi diversi di martirio.
Anzi, qualche volta martirio, qualche volta lusinga.
Il che, forse, è peggio ancora.

Dunque dunque, vediamo un po’.

Chiusa in un castello con dodici ancelle circondata da agi e lusso e protetta da statue di falsi dei: lei distrusse le statue e, calatasi dalla finestra, regalò i gioielli e i suoi ricchi vestiti ai poveri (anvedi, era pure acrobatica).

Implorata dalla madre, affinché giurasse fedeltà all’imperatore, se ne fece un baffo.
Processata, idem.
Legata ad una colonna venne fustigata da dodici uomini (perché ‘sto numero ricorrente?) e poi messa su una ruota con un fuoco sotto di lei allo scopo di slogarle tutte le giunture: la ruota si spezzò, e il vento del lago spense le fiamme.

Venne gettata nel lago con una grossa pietra al collo, in piena notte, ma la tosta galleggiò sulla pietra e suo padre, quando la vide, fu colto da s-ciupùn e ci restò secco (lo stronzo, era stato lui a denunciarla).

Le proposero un matrimonio di convenienza, ma evidentemente Cristina era fatta per bruciare di passione (nel suo caso per Dio, perché no?), la convenienza non le interessava e quindi rifiutò.
La misero quindi in una caldaia piena di olio e pece bollenti, alla quale sopravvisse (che male, però).
La spogliarono, le tagliarono i capelli, che aveva biondi e sottili (come me), e quando spernacchiò quelli che volevano  adorasse gli idoli pagani, la ficcarono in un forno di mattoni per cinque giorni e cinque notti.
Il battito delle ali degli angeli le tennero distanti le fiamme. Tié.

Non contenti, la rinchiusero con vipere ed aspidi (io sarei morta solo alla vista) che, anziché morderla, si arrotolarono sul suo grembo, e le leccarono il collo (brrrrrrrrr).

La mattina del 24 luglio 304 la presero dalla prigione e la portarono nell’anfiteatro.
Immaginatevi a questo punto come sarà stata ridotta, povera crista.
Le furono tagliati la lingua e i seni (i maschi, in certe cose, son dei veri bastardi) e poi la terminarono (finalmente, per fortuna) a suon di frecce (che comunque fanno un male porco).

Pare avesse tra i dodici e i quattordici anni.
Più o meno l’età della Cami, figli di puttana.
Aveva già un bel caratterino, però.

Sono contenta di portare il suo nome.
Leggende a parte, doveva avere due palle così.

Per conto mio (non so se dipende dal nome), sono mite.
Ma ostinata.
Questo è sicuro.

soundtrack: Shipbuilding, Elvis Costello