parole sante

Ecco, appunto.
Parole sante o meglio le ultime parole famose.

È bastata una telefonata a metà pomeriggio, dall'altra parte una voce gentile, proprio quando pensavo di averla fatta franca.
La voce gentile diceva di non spaventarmi.
Sìsì, parole sante, ma intanto devo aspettare l'otto marzo, per sapere.

E come al solito si tratta di resistere.
Ma intanto lo scrivo qui perché, se lo rileggo, magari tra qualche giorno mi va via la paura.
Lo scrivo qui perché ogni tanto mi guardo quella linea spezzata che ho sul palmo della mano sinistra.

Lo scrivo qui perché va bene così, perché stanotte non so a chi dirlo, perché adesso non ci voleva, perché quando sarà passata sarà solo un ricordo.
Una cosa scritta qui.

soundtrack: non mi viene in mente niente e forse è il caso che in qualche modo cerchi di dormire. venerdì è una giornata lunga.

la ragazza con gli stivali rossi

Non sono adatta a fare la moglie.
Non sono adatta nemmeno a fare la fidanzata.
Di certo non sono adatta a fare l'amante, sappiatelo 😉
Per alcuni non sono adatta a fare la madre.
Per altri non sono adatta a fare l'amica.
Per altri ancora non sono adatta a fare la sorella.
Il mio capo sostiene che non sono adatta a fare il mio lavoro perché sono troppo skillata 😀
Per mia madre (anche se non l'ha mai detto chiaramente) molto probabilmente non sono adatta a fare la figlia.

Tutte queste cose, in un modo o nell'altro, mi provocano dolore.

Però so per certo che sono molto adatta a resistere e a cucinare.

E, a dispetto del dolore, ne sono orgogliosa 🙂

soundtrack:

immaturi

Eh, sì.
Me lo diceva Annalisa, che sono un'immatura.
E che non lo sono solo io (per fortuna): ai tempi, quando me lo diceva lei, ero in buona compagnia 😉
Ora chissà…

A parte la digressione molto personale su Annalisa e me Immaturi è stato (stranamente) una bella sorpresa: anche se pieno di limiti e ovvietà è un film guardabile, anzi carino.
Perché? Boh, non lo so spiegare.

Forse perché ho nostalgia del mare.
Forse perché quando vedo la cucina di un ristorante e una casacca da chef non capisco più niente.
Forse perché sta arrivando la primavera e ho voglia di essere abbracciata.
Forse perché mi mancano i miei amici, quelli che mi conoscono da tanto tempo.

Non so se ci starei, a ridare l'esame di maturità. Ma di sicuro mi rimetterei a studiare per l'esame di Storia dell'Arte Moderna (che era un grandissimo mattone), se si potesse fare sulla terrazza di Alassio, belli svaccati con il camparisoda ghiacciato a portata di mano e, alla sera, grandi abbuffate di pesce e cazzeggio a non finire.

Ovviamente con Mimmoide, con Ale, con i Marchi, con Olga, con Carlo, con Laura.
Via da tutto e da tutti, solo noi (ché tanto, gratta gratta, siamo uguali a trent'anni fa) senza pensieri e responsabilità.

Lo so, Annalisa, che sono un'immatura.
Mi basterebbe anche solo un weekend lungo, magari a fine giugno.
Ma se fosse una settimanina non mi farebbe schifo, eh?

soundtrack:

musica per signora (alzati che si sta alzando la canzone popolare)

Invece di usare tante parole sarebbe meglio, nella maggior parte dei casi, usare la musica.

In questo periodo tristemente festivaliero, nel quale ho avuto la fortuna (tentando di appagare una malsana curiosità e sono stata punita, sì) di vedere e ascoltare sulla replay tv orrori tipo la sgangherata esecuzione di Al Bano del Vapensiero piuttosto che una Patty Pravo impagliata che non riusciva nemmeno ad articolare le parole di Sepotessiaveremillelirealmese, mi è venuta l'urgenza di rinnovare il parcomusica del mio IPod.

Ahimé, è un piccolo shuffle di prima generazione, da un giga, e ho dovuto estirpare pietre preziose come Ship Building, ma vabbé la sapevo a memoria e la musica mi serve (tra le altre cose) a vincere l'abbiocco da copiaincolla, al lavoro.

E, insomma, tra le novità ci ho schiaffato dentro questa LoveSong di Adele che appunto è una che fa musica pop.
Quindi, in teoria (e mutatis mutandis), lo stesso tipo di musica che si dovrebbe sentire al Festival della Canzone Italiana.

Ma qui l'affare si ingrossa.
LoveSong è uno dei più bei pezzi dei Cure. E il testo fa venire la pelle d'oca.
La cover di Adele lo rivoluziona e lo rovescia, ovviamente al femminile, e dopo il secondo ascolto (meglio se in cuffia) tira fuori esattamente (se non di più) tutto quello che con questa canzone i Cure avevano da dire.

Ascoltato dai Cure, la pelle d'oca. Ascoltato da Adele, la pelle d'oca e gli occhi lucidi.
Perché, cantato da lei, è esattamente quello che, almeno una volta nella nostra vita, ci è capitato di pensare (e, magari, di dire).

Questo è pop, sìore e sìori.
Chapeau.

soundtrack (giusto un assaggio):

lezioni di felicità

I vagoni della metro di MIlano erano strapieni, oggi pomeriggio alle due, come in qualsiasi mattina alle otto.
L'unica (importante) differenza era che quasi tutti (e la maggior parte erano donne) erano sorridenti.

E tutti chiacchieravano ad alta voce, e ci si passava battute al volo, e saluti, e occhiate d'intesa anche non conoscendoci.

Era bello, sì. Perché si andava a dire, tutti insieme, che non se può davvero più. E, per quanto riguarda noi donne, che esistiamo, che siamo belle e che siamo belle perché siamo intelligenti.

Senza bandiere, in pace perfetta.
È stata una grande emozione, la stessa emozione che ho sentito dalla voce di altre donne, per telefono, a Genova e a Torino.
C'erano anche tanti uomini, sotto la pioggia, in piazza Castello. L'ho trovato commovente.

Io spero davvero che oggi pomeriggio sia stato l'inizio di qualcosa.
Qualcosa al quale mi sento onorata di partecipare.
Qualcosa di piccolo (e sorridente) che promette di crescere, in fretta.
Qualcosa di grande e di forte.

Come sappiamo fare noi, noi donne.

E da voi, com'è andata?

soundtrack:
 

misteri

spagoMe lo spiegate perché il mio gatto si accorge che sto lanciando Toast Titanium e viene a posizionarsi davanti al cassetto del Mac (gli piace toccarlo mentre rientra, con il ciddì da masterizzare) con tempismo perfetto?

Io non lo dico mica a voce alta, che sto per masterizzare.
Il software in questione non produce alcun rumore.
Spacchetto il ciddì solo quando il cassetto è aperto.

Spago potrebbe essere due stanze più in là, oppure profondamente addormentato sulla poltrona di vimini.

Eppure non c'è verso. Al momento buono lui è sempre lì, davanti al dannato cassetto del dannato Mac, con la zampa alzata pronta a dare il fatidico colpetto.

Qualcuno sa dirmi il perché?
Eh?
Qualcuno è in grado di svelarmi uno degli infiniti misteri che costellano la mia vita?

soundtrack:

all that jazz

ma petite noirVia Valprato è una via operaia di barriera, in Borgo Dora.
Qualche anno fa l'avrei giudicata insignificante, ieri notte mi è sembrata bellissima.

L'aria era quasi calda, la pausa sigaretta durante un concerto di jazz aveva riempito il marciapiede. Ero incazzata e parlavo al cellulare con mia figlia, che non voleva ascoltare.
Stavo proprio male, eppure sapevo di essere a casa. Chissà perché. In fondo, finché non sono partita, lì, a casa, non mi ci sono mai sentita.

Per fortuna, dopo, ho dormito.
Al risveglio mi sono guardata in uno specchio che mi fa bella e ho ricevuto un bel libro in regalo.
Ho rivisto mia figlia e c'è stato qualcuno che mi ha aiutato a parlare con lei.

C'era il sole, sul terrazzo proteso sulla valle era primavera.

Il budino di Ada era buonissimo, e anche il suo abbraccio.
Magicamente, è arrivato il secondo regalo: un ma petite noire da indossare anche al lavoro, come uno schiaffo a una vita che, certe volte, minaccia di diventare banale.

Tornando a Milano, a bordo di un'auto amica, ho pensato che questo piccolo viaggio che mi tocca (purtroppo solamente) una volta al mese e sempre troppo di corsa in fondo non è altro che una vertigine di risentimento, felicità, dolore, dolcezza, nostalgia.

E va bene così.

Grazie a Pietro per la pazienza.
Grazie a Cloud per la musica, le discussioni, i pensieri, il letto e il libro.
Grazie ad Ada per il tubino, per l'abbraccio e per il budino.
Grazie a mia madre per la conversazione sui profumi, davanti al caminetto.
Grazie a Sissi per il ritorno.

soundtrack:

pane, amore e…

E beh, che ci vuole a fare il pane con la macchina per fare il pane?

C'è stato un tempo che avevo tempo.
E una grande cucina.
Lo impastavo a mano, lungamente, e poi lo lasciavo a lievitare tutta la notte, in un angolo caldo.
Al mattino lo infornavo e potevo star lì, a godermi lo spettacolo.

Ora non ho più tempo, la mia cucina è troppo piccola e non ha angoli liberi, tantomeno caldi.
Così, accontentandomi di spiare attraverso un piccolo oblò e di annusare comunque un buon odore, lo faccio a macchina e viene buono, eh? Ma ha una forma così noiosa che, alla lunga, ho smesso di concentrarmi sull'aspetto (che è sempre ma sempre quello di un parallelepipedo) per buttarmi sul contenuto.
Nel senso che ne faccio uno plain solo ogni tanto (comunque integrale) ed è quello che serve tutti i giorni quando si è veramente di corsa, il resto sono un guazzabuglio di dolce o di salato.

Il salato, ad esempio pomodorini secchi/capperi/origano, cipolle/noci/stilton, patate/aglio/rosmarino serve per le cene con gli ospiti.
Il dolce serve a dire grazie, ti voglio bene, cioè per fare un regalo.

Ci metto, oltre alla farina scura e il lievito, miele o malto di riso (lo zucchero, di canna, poche volte), un uovo, un cucchiaio di burro, latte e come mi gira datteri, fichi secchi, uvetta, albicocche secche, cardamomo, zenzero, cannella, noce moscata, muesli, scorzette di limone o di arancia, chiodi di garofano, anice stellato.
Serve per la colazione dei miei amici, per la merenda dei loro figli. È il mio modo per restare ancora un po' con loro, dopo che me ne sono andata.

Questa sera ho fatto due pani. Dolci, da portare nella mia città.

Mentre li avvolgevo nella carta da forno e li legavo con lo spago bianco da cucina (di solito uso nastri colorati), mi sono accorta improvvisamente che i pacchetti assomigliano in modo impressionante a quello che la mia nonna mi portava ogni domenica, quando mi veniva a trovare.
Solo che nel suo c'era la crostata. Con la marmellata di prugne brusche.

soundtrack: