a cavallo della tigre (great expectations 8)

brassica-trendsMancano otto giorni al grande salto.
E, come prevedibile, sono sull’orlo di una crisi di nervi.

Perché della crew (quasi tutta formata da maschi davvero carini e simpatici, e lo dico io che, da anni, ormai li guardo solo come bei fiori o strani animali) sono rimasti solo gli antipatici (gli elettricisti): quelli che sono scazzati (hanno paura che non li pagherò), che attaccano le appliques rasoparete (e lo spazio per il paralume?), che danno le brutte notizie (il voltaggio è insufficiente per accendere tutti e quattro i fuochi a induzione: non me lo potevi dire prima?), che mi lasciano da fare i puntiluce sui tavolini (non son capace!).

Perché, come al solito, si sfora di budget.

Perché manca sempre qualcosa.

Perché il vicino del piano di sopra chiude sempre il cancello oltre il quale ci sono tutti i contatori. Compreso il mio.

Perché, comunque, i figli aiutano pocooniente e la casa, da quando ho dichiarato lo sciopero, si è trasformata in una topaia maleodorante.

Perché Il Posto sta venendo così carino che ho paura di non essere all’altezza.

Perché sono stanca.

Perché ogni tanto vorrei qualcuno che mi facesse patpat e mi dicesse andrà tutto bene.

Perché mi terrorizza il dover imparare ad usare il registratore di cassa.

Perché vorrei essere tra sei mesi.

Però oggi son capitate tre cose belle: una mia amica mi ha telefonato e sabato sarà qui a darmi una mano, mi sono fatta spruzzare un po’ di Fracas di Piguet (esiste ancora! tuberosa e gardenia, mmmmhh) in una bottega di profumi superfica anche se ero vestita da muratore e tutta puntinata di bianco e, soprattutto, ho finito di pittare la sala da pranzo (ascoltando Bruce Hornsby). A mezzanotte. Ma è lilla. E molto jazzy 🙂

Insomma, sono a cavallo della tigre. E non posso (e non voglio) scendere.

soundtrack:

dieci inverni (great expectations 7)

pescheUn cielo spietato.
Era il modo con cui mia madre chiamava il cielo d’agosto, perfettamente azzurro, in montagna tanti anni fa.

Oggi è proprio così. È estate. Fa caldo. Ma un caldo bello e non troppo umido, mica come quel supplizio della settimana scorsa.
Quindi è venuto il momento di farsi coraggio e di preparare l’antipasto piemontese con le verdure dei contadini comprate ieri mattina presto, al mercato.
E le pesche di Canale d’Alba, quelle che si spaccano per benino, ripiene di cacao amaro e amaretti.

I lavori del Posto vanno avanti. La posta mi ha detto niet, ma c’è sempre un angelo che mi guarda.
Per cui ho meno paura (o sono un po’ più incosciente) e mi butto serenamente nei lavori che le nostre nonne facevano al caldo ma senza lamentarsi.
Perché è d’estate che queste cose bisogna fare.

L’antipasto piemontese è un gran culo, però è divertente e molto zen. In pratica, si va al mercato e si acchiappano le verdure (fagiolini, cipolline, peperoni, carote, sedano, zucchine – io ho usato le trombette, più dolci e sode – e i primi cavolfiori), si fa la salsa di pomodoro, si aggiungono aceto, sale, zucchero e olio. Nella salsa condita si schiaffano, in ordine e con un intervallo di tre minuti, le verdure a tocchetti. Poi si aggiunge un po’ di noce moscata e si invasa.

Le pesche ripiene, in compenso, sono facili e veloci (ed è una fortuna, ché il forno acceso non è facile da sopportare): basta tagliarle in due, scavarle un po’ e farcirle con la loro polpa, cacao amaro in polvere, poco zucchero, un pizzico di sale e un bel pugno di amaretti secchi. Venti minuti a 180° e cinque col grill sono sufficienti.

Le pesche si possono giustiziare già in serata, dopo un passaggio in frigo.

Per l’antipasto, invece, bisogna aspettare almeno quindici giorni. Meglio ancora aspettare l’inverno, quando questo bel caldo e il cielo spietato saranno solo un ricordo.
Sarà un raggio di sole agrodolce che ci premierà del sudore d’agosto.

Aspettare, in fondo, ha il suo perché. Ed è bello. Io lo sto imparando.

soundtrack:

per un pugno di dollari (great expectations 6)

images-2Sto seduta , aspettando il mio turno, all’ufficio postale. Fa un caldo boia, la notte scorsa ho dormito quattro ore.
Tutta colpa dei conti: non tornano. Il prefinanziamento della banca è troppo stretto, le gabelle comunali sono pesanti e i soldi non bastano per pagare i materiali alla crew. In più, il cartongessista vuole un anticipo grosso grosso e si è incazzato. Se glielo dò, rischio di non aprire e addio finanziamento regionale.

Mi metto a piangere. Per fortuna ho su gli occhiali scuri.
Per fortuna, la gente non guarda.

È il mio turno. Pago il bollettino di una multa del Figlio Adolescente. L’impiegata mi propone l’acquisto di un cellulare.
Rispondo non è proprio il momento. E mi rimetto a piangere.
L’impiegata ha un’aria da massaia e la voce gentile.
Mi dice per favore, non pianga. Cosa succede?
E io racconto che, per un pugno di dollari, rischio di andare sott’acqua.

L’impiegata sorride e mi fissa un appuntamento. Tanto ha già la tessera Bancoposta, no?
Dai, vediamo che si può fare. Cinquemila euro non sono mica una cifra folle.

Be’, cinquemila euro per me sono una cifra folle sì. Alla faccia del fatto che ormai sono un’impreditore 😉

Esco nella canicola, vado a firmare l’approvazione per l’insegna.
Il Targhista dice che Il Posto è bellissimo, che ho un gran coraggio, che avrò un gran successo.
Non so se credergli, ma ne ho bisogno soprattutto adesso che sta diventando durissima.

Intanto, domani alle nove torno alla posta con i miei scartafacci, mi butto per terra e dico che li voglio: pochi, maledetti e subito.

E, domani pomeriggio, arriva la cucina.
Che bello 🙂

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