ricordati di me

Torno a casa con una borsa di carta piena di cose della mia scrivania.

Oggi è stato l’ultimo giorno di lavoro, passato a sgobbare sul serio, come ogni venerdì, ché bisogna chiudere il numero, ma in un’atmosfera stranamente spensierata anche se piena di occhiate, ognuna da codificare.
Curiosità, imbarazzo, affetto, rimpianto.

Il capo alle sette se ne è andato. Non mi ha nemmeno salutata.

Ho finito il numero della prossima settimana, ho svuotato i cassetti, ho ripulito il desktop del Mac. Non ho cancellato l’immagine di mia figlia, quella che per quattro anni ho guardato al mattino e alla sera, quando il monitor non era ancora (o non era più) ingombro di tabelle excell. In un certo senso, i momenti migliori della giornata.
Lo farà chi verrà dopo di me.

Ho abbracciato persone.
Un paio avevano voglia di piangere, io mi sono fatta coraggio e ho tenuto duro.

Ho fatto un regalo apparentemente assurdo alla mia collega gravemente malata, che ha due palle così e viene al lavoro facendo finta di niente, con un ridicolo turbante in testa perché non ha più capelli. Sono semi di graviola, pare miracolosi contro il cancro. Li ho rincorsi su internet, acquistati e ritirati dal corriere.
Sono difficili da far crescere e prima di avere i frutti ci vorranno almeno due anni ma mi sembrava un bel modo per dirle addio e per farle sapere che, anche se siamo due pianeti lontanissimi, io ho pensato a lei.

Poi siamo andati a bere una birra al pub: io, la mia collega giovane e tosta, il mio collega gay  grande massaggiatore shiatzu tenero un po’ paraculo col quale mi sono azzuffata ogni sacrosanta mattina (siamo stati lo spettacolo della redazione, come una vecchia coppia), il collega viveur, leggermente cazzone ma troppo divertente (soprattutto per me, che purtroppo amo i cazzoni) licenziato anche lui.

I licenziati hanno pagato il primo e il secondo giro.

Abbiamo parlato, spettegolato, riso e anche un po’ pianto (la mia collega giovane e tosta, io no. io quando bisogna piangere non piango mai. lo faccio di solito a sproposito). E abbiamo realizzato anche una cosa molto brutta: chi è rimasto ha preso il posto di chi se ne è andato ma l’ha saputo qualche giorno fa.
L’ha saputo solo qualche giorno fa perché, se l’avesse saputo prima, avrebbe detto di no.

Ci siamo salutati con la promessa di una cena prima del mio trasloco e poi, sulla via del parcheggio, la mia collega giovane e tosta ha fatto la pipì dietro ai bidoni della spazzatura sotto il mio vigile sguardo e quando siamo arrivate alla mia macchina mi ha detto che sono stata molto importante per lei e che in qualche modo le ho cambiato la vita e l’ho fatta diventare migliore anche solo con la mia presenza e io non ci potevo credere perchè in fondo io non riesco mai a credere alle persone che dicono che sono importante per loro e probabilmente è la mia personale maledizione però ero contenta e molto grata e gliel’ho detto perché è una cosa grossa, grossa e importante, lasciare qualcosa dietro di sé.

E abbiamo convenuto che non è vero che il lavoro è inutile, che è solo essere schiavi. Il lavoro è importante, è una grande fetta della nostra vita e, anche solo per questo, dovrebbe essere una dimensione bellissima, profondamente affettiva e, indipendentemente dalla qualità di ciò che si fa, piacevole (perché il piacere sta anche nel sentirsi utili) e desiderabile da vivere, ogni giorno.

Nella mia vita ho fatto mille lavori diversi e li ho fatti tutti con passione.
Son sicura che sarà lo stesso con il prossimo che mi capiterà o che mi inventerò.

Per ora, torno a casa con la borsa di carta e con la (bella) sorpresa di sapere che qualcuno si ricorderà di me.
E non è roba da poco.

soundtrack:

bella addormentata

Come spesso succede, quando si deve andar via da un posto e si sa che sarà press’a poco per sempre, anche se è stato un posto faticoso e nel quale ci si è sentiti soli e poco felici, chissà perché scatta uno strano meccanismo che, come ad uno che sta per morire tutta l’energia vitale sembra tornare un attimo prima della fine, in qualche buffo modo fa nascere un’affezione e un rimpianto dell’ultimo minuto.

Così stasera, tornando da una cena a casa di amici, guidavo e guardavo i viali di Città Studi che un po’ assomigliano a quelli di Torino e pensavo che sì, in fondo quel quartiere non è niente male e l’aria era tiepida, e il traffico notturno veloce e aggressivo magari mi mancherà e che peccato, ora che avevo imparato quelle tre strade in croce.

E certo che l’aeroporto di Linate, al buio, ha il suo fascino e anche le fresche frasche dell’Idroscalo, pensare che in quattro anni ci sono stata solo una volta.

Non so bene cosa sia, quest’atmosfera un po’ da ultimo giorno di scuola, euforica ma in minima parte impercettibilmente eppure chiaramente mortifera e ben che il sapore degli addii ormai dovrei conoscerlo.
Quasi sicuro che torno a Casa, ma forse ormai le mie radici se ne sono andate da qualche altra parte e io faccio fatica a sentirle.
E anche se all’Amore e alla Felicità ho già rinunciato da tempo (e senza rimpianti), io in fondo in fondo qualche aspettativa ce l’avrei.

Invece forse è meglio di no. Meglio restare il più a lungo possibile in questo tratto di mare dal quale si vede una costa ormai lontana e se si guarda nella direzione opposta, il nulla.
Perché, una volta tanto, si può anche spegnere la sveglia e girarsi dall’altra parte.
Ogni tanto si può fare e va bene così.

soundtrack:

love happens

Questa mattina sono stata svegliata dalla telefonata di un amico che non vedevo e non sentivo da dieci anni.
Aveva una bella voce energetica e allegra, camminava sotto i portici di via Vittor Pisani per andare a una riunione di lavoro e intanto mi raccontava della sua vita a Torino, di sua moglie (che è sempre la stessa moglie) col suo bel carattere pepato, di sua figlia di undici anni che fa il conservatorio e suona l’arpa.
Io ero ancora a letto, ascoltavo e pensavo che bello che sono ancora sposati e ancora si vogliono bene, che piacere mi fa, sentire quel tono ventoso e ridente e che è ancora lo stesso tono di tanti anni fa.

Poi, quando sono uscita per andare al lavoro, in giardino ho incontrato una mamma giovane che abita nel mio palazzo, con il suo bambino nel passeggino.
Le ho detto buongiorno e lei mi ha guardata dritto negli occhi, mi ha sorriso e ha risposto Buongiorno! Com’è bella così, tutta colorata!

Le ho detto grazie, ma forse non era abbastanza.

Ecco, io queste due cose me le segno qui.
Perché son due cose bellissime e due cose così belle tutte in una volta non succedono spesso.

Così poi, quando il gioco si fa duro e mi sembra di camminare attraverso una catastrofe nucleare, faccio meno fatica a ricordare che esistono.

Esistono, esistono. E, ogni tanto, capitano anche a me.

soundtrack:

non lasciarmi (o del maltrattamento gratuito)

Prologo 1:
Esterno giorno, sopra alle arcate poco prima del cavalcavia Buccari campeggia un grande cartello verde con su scritto INNAMORARSI DI MILANO.
Alga, alla guida della Pandinaagaz, impegna la rotonda (dopo aver ben guardato a destra e a sinistra). Da destra irrompe un proiettile sotto forma di suv, lanciato almeno ai duecento.
Alga inchioda, il proiettile la sfiora salutando (sic!).
Alga alza lo sguardo e legge il cartello.

Ecco, appunto.

Prologo 2:
Su fb, ieri. M.: Ultimi scampoli di vacanza…
Alga: Se tornate dal Trentino, passate a dirmi ciao :-).
(nessuna risposta)
Su fb, oggi. M.: Che tristezza, la rustichella dell’autogrill.
Alga: Vedi, se invece passavate da me… 😉
M.: da Milano non ci transitiamo nemmeno di striscio 🙂 Brescia – Piacenza – Novi. ok il pranzo, ma impelagarsi nel casino no! 😀

Che simpatico, vero?

Ora.
Io mi domando.

Come mai certa gente è così prepotente, sgarbata, naturalmente indisponente così, a prescindere?
Parecchi anni fa, un mio collega (e peraltro mio amico) mi disse: sai? ci si gode a farti del male.
Io, a questa frase ci ho pensato tanto (e tanto vuol dire circa trent’anni, mica una settimana) e nel frattempo ho conosciuto tanta gente: molti gentili e disponibili, la maggior parte, però, incline al maltrattamento gratuito, cioè al trattar male in ogni caso.

Sono una persona un po’ troppo seria, incline alla malinconia, timida, riservata.
Ma non mi ricordo, in cinquant’anni di vita, di aver mai trattato sgarbatamente qualcuno per prima. Anzi.
Essendo molto sensibile al maltrattamento (soprattutto a quello gratuito) ho fatto sempre attenzione a non ferire nessuno. Quando l’ho fatto ero sempre stata ripetutamente e pesantamente provocata (una volta ho perfino scritto una mail di insulti terribili: mi ci sono costretta e non mi sono nemmeno divertita, ma lo scopo era allontanare definitivamente una persona a cui avevo voluto bene e che si era comportata male con me).
Per secoli ho pensato che fosse colpa mia: del mio atteggiamento poco solare, del mio essere apparentemente sottomessa, della mia paura di essere abbandonata, del mio carattere dolce e poco bellicoso.

Però ora sto invecchiando e una delle cose belle degli anni che passano è aver acquisito la consapevolezza che il problema non è mio, ma di quelli che hanno bisogno di fare così: al mondo esistono tantissimi stronzi e  se ti tratto bene, tu non hai nessunissimo diritto di trattarmi male. Neanche se non lo fai apposta.

E siccome, tra le altre cose, non ho più paura di essere lasciata, se non mi tratti come io ti tratto, sono proprio io, a lasciare te.

soundtrack: