la lingua perduta delle gru

rave
Alga ha paura della folla e ha sempre camminato rasoterra.
Per cui, andare a una specie di raveparty indossando un taccododici è stata quel che si dice un’esperienza "forte", per lei.

In particolare: Alga lo sa che nei grandi assembramenti di solito non ce n’è neanche uno che ce l’abbia in nota, ma si sente mancare il fiato lo stesso.
E sa pure che i tacchi alti le fanno le gambe da trampoliere (che poi magari i maschi sbirciano anche), ma l’ondeggiamento delle anche e soprattutto l’altezza da watussa che ne conseguono, la mandano in confusione.

Fattostà che, un po’ per amore (zia, hai delle gambe così belle, mettile in mostra dai) un po’ per forza [mica oserai andare fuori la sera con un paio di ciabatte (le amatissime Camper rosse col cinturino, NdR) verooooo?], Alga si è arresa.

Poi alla fine si è pure divertita, al rave.
E, insomma, ha fatto la sua porca figura nonostante la semiparalisi degli arti inferiori dovuta al fatidico tacco, al pavimento di linoleum reso appiccicaticcio dagli schizzi di succo d’arancia debordanti dai bicchieri di vodkaorange proditoriamente trasportati nella calca e al fatto che non capirà mai che ballare sui trampoli significa fondamentalmente culoinfuoripanciaindentrotetteinfuori.

Solo un momento è stato realmente drammatico per Alga: dover uscire dall’ippodromo dopo due ore di danze piùommeno selvagge con i piedi nel frattempo gonfiati come melanzane, la sua famosa cecità notturna (aggravata da una mitragliata di luci stroboscopiche alle quali, per ragioni di età, non è più abituata) e due rampe di scale (alte) da fare al buio, cercando di non danneggiare le preziose calzature prestatele dalla Gine, cioè la sua nipotinafashion.

La vera liberazione è avvenuta nel piazzale vicino, quando Alga e Cilvia si sono finalmente liberate degli stivaletti malesi che da ore tormentavano le loro estremità inferiori (e ragazzi, il detto chi vuole apparire deve soffrire, davvero ci sta), cacciandosi in macchina tra gemiti di sollievo e lazzi dei parcheggiatori ma chissene.

tacco
Da questa bella esperienza, Alga ha ricavato tre grandi consapevolezze:

1. che i rave sono carini, basta andarci con le solite camper
2. che il taccododici non è cosa
3. che non imparerà mai a sostenere lo sguardo di un uomo sconosciuto dritto negli occhi (e beh, peggio per lei).

soundtrack: Let’s spend the night together, The Rolling Stones

trinity

Sì, d’accordo, sto in un momentino un po’ così.
Inutile negarlo.

Mi sento sbombazzata, ma ancora viva, eh?
Mi sento viva soprattutto nella panza, ché il resto (compreso il cuore) è un po’ a puttane.

E così, stasera, in una delle nostre infinite telefonate con la Cilvia, ci siamo messe a discutere sulle nostre canzoni sexi preferite.

Beh, le mie tre sono queste.

E le vostre?

buone notizie

Zooot.

Sì?

Buongiorne signore, me chiame Marie, vorre lasciarle une pubblicazione che parle de veritè e vite, viste che tutte oggie sono stressate, e queste forse le insegne a stare un pe’ piè calme.

Vabbè me lo metta nella buca, non sto proprio ok e non le posso aprire la porta.

Ehhhh, me dispiace, magare torne tre un pe’ de giorne a sentire come se sente.

soundtrack: Madre dolcissima, Zucchero

missing 2

Ho sentito qui l’intervista a Ludo, uno dei "papà" di BlogBabel.
Ho paura che sia proprio così, purtroppo.
Cioè che la blogosfera italiana rispecchi la società italiana.

Se è vero, tanto vale farsi coraggio.
Ed emigrare, in tutti i sensi.

p.s.
riapri, blogbabel, pleez.
se non vuoi farlo a causa di qualche blogstar disonesta, fallo per noi nanetti, dai 🙂

soundtrack: Miss you, The Rolling Stones

dogville

Odio abitare in un paesino.

In teoria, potrebbe anche essere una buona cosa, con tutti quelli che si lamentano perché nelle grandi città non c’è contatto (umano).

Beh, dipende dal contatto.

Per esempio, sarebbe bello, siccome alla fine ci si conosce tutti, darci una mano.

Ma, invece, è mai possibile che se ti arriva tra capoecollo l’elettricista in casa (perché i citofoni non funzionano) questo ha immancabilmente la faccia del padre di qualche compagno/a di scuola di tuo figlio/a, e mentre ti parla e ti dice che da fuori si sente tutto quello che dici (ché io dico sempre delle cose molto osé, soprattutto quando sono al telefono), il suo occhio furbetto fa una panoramica del tuo soggiorno disastrato perché hai le pile di roba da stirare, e già che c’è fa una puntatina anche in cucina, dove sta sobbollendo il latte di soia per il tofu e un chilo di rabarbaro sta macerando in attesa di diventare confettura?

E tu hai appena mangiato tre tomini al verde fetentissimi?
E hai i Radiohead sparati a palla e i vetri da lavare?

No, perché tu ancora non te ne rendi conto, ma tutte queste cose verranno usate contro di te.

Fanculo, io tra un po’ mi schiodo di qui.
E uso le mie ultime quattro ore di libertà per andarmi a vedere Onora il padre e la madre.

Ecco.

soundtrack: Borghesia, Claudio Lolli

caos calmo (stavolta, purtroppo, al cinema)

Lo sapevo, che non ci dovevo andare.
But, curiosity killed the cat (i brit dicono così, giusto?).

Avrei potuto vedere Lumet, e invece mi sono lasciata tentare.

Erano secoli che un film non mi dava così fastidio.
Anzi, dirò di più: che non mi faceva così incazzare.

All’inizio mi sono un po’ commossa.
Forse dipendeva dalla mia storia personale, oppure dal tasso alcolico dell’aperitivo appena ingurgitato.
Alla fine del film ho pensato che dipendeva dalla seconda che ho detto.

Dunque, parliamoci chiaro.
Questo dovrebbe essere una specie di film-verità sul dolore da lutto?
No, spiegatemelo, perché io non ho letto il romanzo di Veronesi, non guardo la tv e non so bene cosa ne abbiano detto il regista e il protagonista.

Però posso dire cosa ho pensato io, un po’ alla rinfusa (ché c’ho ancora il grrrrrrrrr nel sangue, e ci vorrà tutta la notte per calmarmi).

Il film è maschilista e classista.
Maschilista (o se voi maschi preferite, sessista): le donne ci fanno una figura un po’ così.
Le mammette che prendono il caffè dopo aver accompagnato i figli a scuola (ma Nanni, non sapevi che funziona così? cos’è quello sguardo sgranato?), la Ferrari goffa anzichenò in quella scena di sesso, la Golino (per me l’unico personaggio simpatico in tutta questa storiaccia) che ci fa la figura della deficiente mentre invece dice le uniche cose sensate, tipo che la moglie del protagonista si sentiva sola come un cane, la psicologa che spara quella sequela di cazzate (che poi magari non sono tali, mah).
L’unica che si salva, indovinate chi è?
La bella bionda padrona del sanbernardo  e che alla fine del film abbraccia il Moretti, meritevole di averle bloccato il cane fuggiasco, promettendogli con un flapflap di ciglia chissà quali delizie future.
Ovviamente lui ha quarantotto anni, lei circa venticinque: con lei l’amore romantico ci sta, vero (ooops, mi sono distratta, questa è la seconda cosa reale del film)?

Classista: secondo voi, a un operaio dell’Ilva che si fosse piazzato per tre mesi su una panchina davanti alla scuola della figlia invece di andare a lavorare, glie l’avrebbero offerta, la presidenza della compagnia?
Dico, non l’avrebbero licenziato, per caso? Figuriamoci.

E poi, la famosa, pompata, celebrata, incriminata scena di sesso.
Anale?
Ma l’ha detto il regista che è anale?
L’ha detto lo scrittore?
A me è sembrata una banalissima pecorina, se lei strillava era perché lui nel frattempo (per fare l’homo eroticus) la stava scotennando.
E l’unica cosa che ho trovato scandalosa è stata la recitazione del Nanni (e speriamo che sia solo recitazione, ché se lo facesse sul serio così, manco su un’isola deserta) e la totale, intenzionale mancanza di qualsiasi forma di tenerezza e di desiderio, diciamo, a livello umano (quindi, Moretti, basta con le scene sexi: ti abbiamo già dovuto sopportare ne La stanza del figlio, ma almeno durava solo trentasecondi).

È quasi tutto finto, in questo film.
Finta la finta compostezza nel dolore.
Finto il finto senso di colpa per il "non soffrire abbastanza".
Finto il discorso finale della figlia (ma porcapupazza, quale bambino delle elementari si esprime così?).
Fintissimo perfino Polansky, chissà quanti soldi gli avran dato, per recitare (si fa per dire) quei cinque minuti.

Caos calmo è una presa per il culo.

Sono così incazzata che, da brava autolesionista, quando sono tornata a casa mi sono punita (così imparo, la prossima volta ci sto più attenta, a sprecare una serata libera).
Con una zuppa di noodles al curry precotta.

Del discount.

soundtrack: Shame, Ivan Graziani

colpo d'occhio

Comincia in sordina, questo film crudele di Sergio Rubini, tanto che ho pensato (da stronza quale sono e in più stizzita dal tormento del tunnelcarpale che mi ha deliziato tutta la notte scorsa e la giornata pure): arieccoci, il solito film italiano che pare una sitcom televisiva.

E invece no.

Basta tener duro la prima mezzoretta e vi ritroverete catapultati in un vero psicothriller, con un po’ di Woody Allen (Matchpoint), un po’ di Polansky (Rosemary’s Baby), un po’ di Chabrol (Dieci incredibili giorni), un po’ di De Palma (Blow Out) e, naturalmente, molto Rubini (come attore), direi quello di Mio cognato di Alessandro Piva.

Una storia perfetta sulle persone manipolatorie, sull’ambizione e il desiderio di piacere a quelli che contano, sul bisogno di protezione che diventa una trappola, sull’amore che può far impazzire, sui plagiatori e sui plagiati (in tutti i sensi).
Un finale piuttosto hitchcockiano (e ficchiamoci anche un pizzico di Welles, va’), del quale, ovviamente, non vi dico un bel nulla.

Nonostante tutto il guazzabuglio di citazioni che ho tirato in ballo (forse un delirio di origine reumatica), la sceneggiatura tiene, la direzione è ottima (e fa recitare bene – miracolo!- anche tre "scarsoni" come Scamarcio, Puccini e Barale) e in più il regista è un interprete strepitoso, per giunta a parer mio molto più fico del protagonista giovane e ricciuto.

Commenta le immagini la sontuosa e inquietante colonna sonora di Pino Donaggio, che di thriller se ne intende 😉

Andateci, vedrete che ha ragione Rubini.
Non c’è colpo d’occhio che tenga: la verità ha molte facce.
E, soprattutto, il bene non vince mai.

Oppure no?

soundtrack: Insolita, Le Vibrazioni